Sono sicuro che la storiella tu la conosca.
Quella delle due squadre di canotaggio, Italiana e Giapponese, che fanno una gara, e in cui quella Giapponese vince di misura. L’anno successivo, dopo i dovuti aggiustamenti quella Giapponese stravince, e si scopre che mentre quest’ultima ha un capo e quattro rematori, quella Italiana ha quattro capi e un solo rematore. Dopo la gara il singolo rematore viene licenziato a causa della scarsa performance, mentre ai manager viene dato un premio per l’impegno.
La storiella fa ridere perché è vera, e non solo per il problema di gerarchia che viviamo nel Bel Paese: siamo culturalmente orientati a rispettare in modo quasi religioso le figure di autorità (anche quelle che noi stessi abbiamo nominato), anche se questo corrisponde a squalificare il lavoro vero di altri.
Io, per primo, metto grande enfasi sul ruolo del manager nell’avere un team ad elevate performance, ma non ci si deve mai dimenticare che in alcuni casi è semplicemente il manager ad essere la persona sbagliata al posto sbagliato.
Il problema
Vengo coinvolto dall’ufficio Risorse Umane di un’azienda piuttosto strutturata che sta riscontrando un problema con un team in particolare, e vorrebbe organizzare per loro un’attività di training sulla comunicazione e il problem solving. Il team, infatti, risulta poco motivato, poco proattivo nella gestione delle problematiche, e in generale ha dei livelli di performance inferiori a quelli attesi.
Per progettare meglio il percorso, organizzo una chiacchierata con la responsabile dell’ufficio che mi ha coinvolto, per capire meglio il problema: l’HR Business Partner dell’azienda, che da alcuni mesi sta gestendo la situazione. Da una prima analisi emerge chiaramente che il problema non è il team, ma il manager, e l’indizio è abbastanza evidente: il problema di performance è iniziato solo con il suo inserimento, avvenuto relativamente di recente.
Mi racconta che per quanto si sia sforzata di aiutare il manager a cambiare il suo stile di relazione con i collaboratori, si è sempre trovata davanti a un muro di gomma, poiché oltre a carota e bastone non sembra avere alcuna risorsa. In prima persona si rende conto che questo training sia solo una soluzione di compromesso, ma sente di non avere margine di manovra per fare altro.
A questo punto la persuado a coinvolgere nella discussione anche il General Manager dell’azienda, il capo diretto del manager in questione. Nel giro di pochi minuti si aggiunge alla riunione, e scopro che l’anno precedente, nonostante le performance decisamente scadenti, al manager è stato riconosciuto un bonus economico di incoraggiamento, visto l’impegno che stava mettendo nella gestione del team, e nonostante il suo operato abbia causato le dimissioni di tre collaboratori decisamente senior.
Si è quindi svolta una chiacchierata piuttosto intensa che ha coinvolto me, il General Manager e la HR Business Partner, e durante la quale entrambi hanno compreso che i comportamenti messi in pratica fino a quel momento erano profondamente disfunzionali, e che se si voleva risolvere il problema l’attore principale sarebbe dovuto essere proprio il General Manager.
Il lavoro svolto insieme
A questo punto è iniziato un percorso completamente diverso da quello ipotizzato in origine dall’HR Business Partner, paradossalmente meno impegnativo (anche dal punto di vista economico), ma più efficace. Una volta compreso che chi aveva maggior peso nell’influenzare il problema era proprio il General Manager, abbiamo organizzato un percorso di affiancamento individuale, svoltosi inizialmente in presenza e poi online durante il periodo di lockdown.
Abbiamo quindi lavorato sulla sua leadersip, e in particolar modo sul percorso di crescita a cui il suo collaboratore, il manager dalle scarse performance, avrebbe dovuto seguire. Nel giro di circa tre mesi emerse con chiarezza una incapacità profonda del detto manager, che non era disponibile in alcun modo a modificare il proprio stile di leadership, e si capì che questa volta la persona sbagliata al posto sbagliato era proprio lui. Venne quindi rimesso dall’incarico, e al suo posto venne assunta una giovane manager con un curriculum forse meno d’impatto, ma dalle competenze comunicative sicuramente più marcate. Fu sufficiente un solo mese per la manager a recuperare il gap tecnico che aveva rispetto al precedente responsabile, e come per magia l’ufficio tornò ad essere quello dei tempi d’oro.
I risultati
Dopo un rapido assestamento, la nuova manager, complice anche l’entusiasmo della squadra di liberarsi del precedente responsabile, si guadagnò il massimo della fiducia del team. Il training originariamente ipotizzato venne a quel punto erogato, non come tentativo per riparare una situazione ormai definitivamente compromessa, ma come modo per permettere ad un team eccellente di raggiungere risultati di performance ancora migliori.
L’impatto più grande fu però proprio sul General Manager, che prese in mano in prima persona alcune altre situazioni critiche che aveva delegato all’ufficio risorse umane più per sua incapacità che per reale disinteresse, come mi avrebbe confessato solo più tardi. Anche lui, ammise, era caduto nella trappola di pensare che il manager sia sempre intoccabile, e che siano i collaboratori il problema. Questo fu un grande stimolo per mettere in discussione prima di tutto se stesso, e puntare a nuove eccellenze.