Il fatto che ci sia qualcuno che lo vende non significa che sia utile, o perfino non dannoso. Ad esempio, nei primi anni del ‘900 il consumo di Coca era consigliato come panacea per la salute, poiché ancora non se ne erano verificati con chiarezza gli effetti collaterali. E se oggi un farmaco deve superare esami molto rigorosi per entrare in commercio, non si può dire lo stesso per i servizi di consulenza.

E così il mercato è pieno di offerte nel migliore dei casi inutili, spesso deliberatamente dannose. Questo è il caso degli interventi motivazionali, che spesso dopo un primo momento di esaltazione demotivano ancor di più, e delle azioni di teambuilding, che vista la loro natura a spot non portano davvero al modificarsi delle relazioni.

Penso che chi svolge questo tipo di attività nelle aziende non lo faccia in modo fraudolento, ma sia in qualche modo persuaso della loro utilità. Del resto, nemmeno l’alchimia sparì in un giorno quando venne inventata la chimica! E d’altra parte viviamo in un mondo in cui le aziende fanno delle richieste formulate in funzione di ciò che già si aspettano di trovare. Molto spesso, quindi, cercano la soluzione miracolosa a problemi incredibilmente consolidati, che l’intervento di un motivatore, o un weekend a fare rafting non possono neanche lontanamente inziare a scalfire.

Il Problema

Il direttore delle risorse umane di un’azienda di medie dimensioni mi contatta per chiedermi di progettare un intervento di teambuilding per la squadra commerciale, che conta, compreso il manager, quattordici persone in tutto. Quando parliamo, al telefono, mi racconta che le persone, per la maggior parte commerciali di grande esperienza, oltre a quattro nuove leve che pure sono molto promettenti, non sono per nulla collaborative: invadono i rispettivi spazi, si mettono i bastoni tra le ruote a vicenda, e a meno che non siano controllati a vista non intraprendono quelle iniziative sinergiche che permetterebbero a tutti di migliorare i risultati. Sottolinea, inoltre, che ha scarse aspettative perché in passato sono già stati svolti interventi sia motivazionali che di teambuilding, che in alcuni casi hanno perfino contribuito all’inasprirsi del problema, e non ha quindi grandi aspettative, anche se il mio nome gli è stato suggerito come persona capace di gestire questa situazione. Conclude dicendomi che vorrebbe organizzare con me una nuova attività di teambuilding e vedere come va.

Probabilmente lo spiazzo un po’ quando gli dico che se vogliono un’attività di teambuilding non sono la persona giusta per loro, ma che sarò ben felice di pianificare delle attività che permettano di risolvere realmente il problema. Ciò che propongo è una giornata di consulenza mascherata da formazione, sul Problem Solving Strategico, e almeno 5 ulteriori follow-up mensili in modo da consolidare i risultati.

Il razionale dietro questa proposta, spiego, sta non solo nell’introdurre un cambiamento nel sistema, ma nel fare in modo che esso si consolidi in maniera efficace e duratura.

Il lavoro svolto insieme

L’attività viene presentata alla squadra commerciale non come l’ennesimo teambuilding, ma come formazione sul problem solving, per riconoscere e incentivare la performance del team. Ad essa, pur con alcuni scettici, partecipa l’intero gruppo, compreso il manager.

Durante la mattina racconto, quindi, il modello di Problem Solving Strategico, presentandolo come strumento utile a migliorare le proprie performance, e su cui svolgeremo un esercizio nel pomeriggio. A quel punto, dopo pranzo, invito il responsabile commerciale, con cui era già stato creato un accordo in privato, a condividere un problema. Subito propone la collaborazione tra i membri del team, e alle sue parole noto una reazione decisamente avversa da gran parte dei partecipanti. “Ancora questo??” è come se si stessero chiedendo, e i loro sguardi sono così eloquenti che potrebbero urlarlo e sortirebbe lo stesso effetto.

Ringrazio il responsabile, e gli chiedo di definire meglio l’obiettivo: desidera una collaborazione perfetta tra i membri del team, oppure preferisce comunque mantenere quelle dinamiche di sana competizione che spesso si vedono nei team commerciali? Coinvolgo nella discussione anche il resto della sala, e tutti sono più o meno concordi nel fatto che la competizione piace e li rende più motivati, ma che spesso vorrebbero più collaborazione da parte degli altri. Dopo un’accorata discussione arriviamo ad una definizione condivisa dell’obiettivo: un sano livello di competizione in cui i risultati del team sono anteposti a quelli personali, ma in cui viene riconosciuto il valore delle singole persone che hanno contribuito ad essi.

La fase successiva di analisi porta i partecipanti a scoprire che sono vittime da una parte di una comunicazione dello stesso direttore commerciale spesso ambivalente, in cui viene data troppa enfasi alla performance individuale, oltre che di un sistema premiante di tipo win-lose, in cui vengono premiati gli sforzi individuali, anche se ottenuti a discapito dei risultati altrui, mentre non vengono considerati i risultati collettivi. A questo si aggiunge il peso di alcune passate attività di teambuilding che hanno enfatizzato la dimensione concorrenziale tra le persone, mettendole le une contro le altre.

Dopo un pomeriggio molto intenso, il responsabile commerciale ha in mano una quantità importante di appunti da proporre al direttore generale su come riorganizzare il sistema premiante dell’area commerciale, e tutti hanno istruzioni chiare e concrete da seguire da lì alla mese prossimo, durante la successiva riunione.

I risultati

Il lavoro prosegue per un totale di 6 incontri, in cui di volta in volta vengono esaminate ed affrontate le criticità emerse durante il mese passato, e vengono concordati i passi avanti da fare per raggiungere l’obiettivo condiviso. Il lavoro procede spedito, e già al quarto incontro l’obiettivo sembra raggiunto, quindi le sessioni diventano dei piacevoli momenti di confronto e di formazione più approfondita, sempre però con particolare attenzione affinché il nuovo equilibrio creato venga mantenuto. Anche il responsabile commerciale a partire dalla seconda metà del percorso chiede un percorso di affiancamento individuale per migliorare la propria comunicazione con il team.

Alla fine del progetto ho ricevuto un sentito ringraziamento da parte del direttore delle risorse umane dell’azienda, le cui aspettative, effettivamente molto basse, sono state ampiamente superate. Le performance del team commerciale del suo complesso sono aumentate di oltre il 30%, e la situazione è rimasta stabile nel nuovo equilibrio, caratterizzato da una competizione amichevole tra persone che desiderano spingersi insieme più avanti, anziché distruttiva di nemici che desiderano solo danneggiarsi a vicenda.

E tutto questo senza bisogno di giornate di orienteering, o percorsi di guerra, ma solo creando la giusta occasione per un confronto adeguatamente moderato tra le persone coinvolte, affinché fossero esse stesse a poter scoprire la soluzione ai loro problemi.