Uno che si fa Pagare per Aiutare gli altri
Ricordo quando andavo all’Università, ero ancora in triennale, e frequentai un corso che si chiamava Economia delle Aziende Nonprofit. Le nozioni non erano nulla di metafisico, o eccezionalmente utile, ma ricordo ancora il senso di illuminazione che provai quando il docente parlò dei Modelli di Business del Nonprofit.
Noi occidentali (e io per primo, almeno all’epoca) viviamo in una sorta di illusione in cui il mercato è un luogo di competizione, e i concorrenti sono avversari. Ma anche i clienti, in un certo senso, lo sono, e così i fornitori, in un gioco che ciascuno gioca per se stesso. Si fa presto, insomma, a parlare di collaborazione, sharing economy e simili: sotto sotto la maggior parte degli imprenditori, o dei liberi professionisti, e perfino dei dipendenti ha la sensazione di essere da soli contro il mondo.
Poi, dall’altra parte, c’è il mondo degli ideali e delle virtù. Il mondo in cui si aiutano gli altri, senza volere nulla in cambio. Il mondo in cui ci si può permettere di essere buoni, quello che storicamente è stato appannaggio del mondo Nonprofit.
Così, almeno, è stato nel mondo capitalista per eccellenza. E sono ormai molti anni che questi due mondi si stanno a tratti sovrapponendo, e forse ci sarà un futuro in cui ci sarà solo un’unica zona grigia.
Eppure ricordo ancora con chiarezza il mio stupore, a questa realizzazione. Io alla fine ero stato educato da buon Cristiano, e per me aiutare il prossimo doveva essere un atto gratuito. L’idea di chiedere dei soldi per un aiuto mi era, in qualche modo, aliena.
Ricordo come il docente spiegò con chiarezza che in un’economia come la nostra, anche la donazione stessa ha valore. Non posso donare economicamente se non ne ho disponibilità. Non posso donare il mio tempo, se non ne ho. Insomma, una nonprofit ha un modello di business come qualunque altra azienda, solo, chi riceve il servizio non è lo stesso che paga, ma qualcuno che paga c’è sempre.
Questo passaggio servì, in qualche modo, ad aiutarmi a capire che non c’è nulla di vergognoso nel concetto di essere remunerati per un aiuto. Anzi, già gli ordinamenti intorno al mondo (quello italiano sarebbe arrivato molto dopo) stavano iniziando a prevedere qualcosa come un’azienda con scopo sociale, o benefit company: un’azienda che ha scopo di lucro, ma con un oggetto sociale al centro della sua opera, e un’attenzione particolare alla sua ricaduta sull’ecosistema.
Racconto questa storia perché, alla fine, mi ci sono trovato anche io.
Il mio lavoro è quello di aiutare le persone. A una parte di me piacerebbe ancora farlo in modo gratuito. Eppure, anche io, mi rendo conto, devo mangiare, e quindi mi faccio pagare, anche profumatamente, per il mio lavoro, perché gli attribuisco un grande valore. In qualche modo, insomma, sono riuscito a trovare quella dimensione in cui sento di fare qualcosa di utile per la società, e al tempo stesso riesco a mangiarci.
E sì, sono un po’ fiero di questa cosa.
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