Gioie e Dolori dell’essere Sovversivi

Sono quello che quando andava all’università non sopportava studiare sui libri, ma amava andare a visitare le aziende, per capire come funzionassero. Quello che non aveva paura a rispondere alle domande che il professore lanciava all’aula, non certo per farsi vedere dai compagni, ma per capire se, davvero, aveva capito.

Sono quello che, quando lavorava come dipendente, non aveva paura ad esplorare progetti che spingessero il limite di quello che la tecnologia ci permetteva di fare. Quello che scappava quando si rendeva conto che l’azienda non voleva nemmeno riconoscere i problemi che affliggevano la sua quotidianità.

Insomma, sono sempre stato un tipo strano. Anzi, più che strano, un sovversivo. Uno che non ha paura a mettere in discussione il modo in cui tutti fanno le cose. Che non si accontenta della prospettiva più immediata. Uno che, alla fine della giornata, è un gran rompiscatole.

Penso che noi sovversivi siamo una minoranza della popolazione, e che tutto sommato sia meglio così. Penso che abbia a che fare con la nostra eccessiva propensione al cambiamento: se ci fossimo solo noi, il mondo non saprebbe dove andare.

Pensiamo a un’azienda. Nell’azienda tipica c’è un capo, che può essere il titolare, o l’amministratore delegato, che in linea di massima dà gli obiettivi aziendali, e poi la macchina aziendale, più o meno complessa, si mette in moto per raggiungerli. L’azienda tipica non è un sistema democratico, in cui ciascuno ha il diritto di voto; è una tirannide, dove l’unica cosa che conta è il volere dell’augusto, e tutto ciò che viene fatto deve comunque andare nella direzione da esso definita.

Ora, proviamo a mettere un sovversivo in questo ecosistema. Quando non penserà a ribellarsi al potere dell’augusto farà comunque cose che non necessariamente trainano nella direzione da esso definita. Non si fa scrupoli a remare contro, se pensa che la direzione sia quella sbagliata. Non ha paura ad entrare in conflitto con il resto del mondo.

Una piccola quantità di queste persone può essere buffa, e se correttamente valorizzata perfino utile. Ma immaginiamo un’azienda fatta interamente da esse. Mi viene da piangere solo all’idea: l’incubo di ogni capo.


Io sono un sovversivo, e ho imparato a valorizzare questa cosa nel mio lavoro. Adoro quando entro nelle aziende, parlo con le persone, e in qualche modo tocco dei bottoni per cui nel giro di pochissimo tempo moltissime cose cambiano. Quando provavo a farlo da dipendente, ricevevo solo occhiate storte. Oggi le persone mi pagano anche per farlo. Vai a capire.

Beh, in realtà lo capisco. Perché in ultima analisi anche il mio cliente un po’ sovversivo lo è. Magari perché non si accontenta del modo in cui sta facendo le cose. Magari perché quando vede un problema anche lui vorrebbe risolverlo.

Essere sovversivi è in qualche modo una condanna a non sapersi adattare alle cose che non funzionano. Per me significa che quando c’è un problema da risolvere lo si risolve. Non ci si adatta alla situazione così com’è, salvo lamentarsene dopo. Perché a ben vedere un sovversivo è strano, anche per questo motivo: non ama lamentarsi, ma ha bisogno di agire.

Insomma, un po’ un pirata che non ha paura di affrontare il mare in tempesta. E se alle persone normali i pirati non piacciono poi così tanto (e la tempesta men che meno), come può, lui, rinunciare al richiamo del mare?

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