Questione di prospettiva

L’altro giorno mia moglie ascoltava la radio, e a un certo punto Fabio Volo se n’è uscito con una grande verità.

Limitate i contatti sociali, chiusura alle 18.00, niente cinema né palestra. In pratica questo mini-lockdown ha generalizzato la condizione di coppia giovane con figli piccoli.

Mi sono messo a ridere, principalmente perché è vero: proprio il giorno prima io e mia moglie ragionavamo sul fatto che, a parte qualche disagio potenziale (ci sarebbe piaciuto iscrivere nostra figlia in piscina), queste misure non hanno un grande impatto tra di noi.

Certo, comprendiamo bene la difficoltà in cui si trovano molte attività, soprattutto quelle legate al mondo della ristorazione, oggi. In prima misura perché la viviamo anche noi: io, in particolare, faccio parte di quel famoso mercato dell’indotto di cui tutti parlano, ma pochi si preoccupano.

Insomma, come si dice, il piatto piange. E questo è un problema, certo che lo è.

Inutile raccontarcela: la situazione è critica per molti. Ma non è questo il punto.

Con il primo lockdown di questo marzo ci siamo trovati impreparati e impauriti. Il futuro ci appariva più incerto che mai. Poi, quest’estate, con la riduzione dei contagi e l’allentamento delle misure di sicurezza ci siamo sentiti in vacanza. Ci dicevamo che il peggio era passato, che non si sarebbe mai arrivati ad un nuovo lockdown.

Non so voi, io non sono mai stato granché ottimista. O meglio, credo molto in quel proverbio inglese che dice spera nel meglio, ma preparati al peggio. In questi mesi, quindi, ho continuato quel processo di revisione e trasformazione del business che ho iniziato questa primavera, e per quanto la situazione appaia tutt’altro che rosea, non posso dire che, almeno per me, fosse inattesa, e ora mi sento abbastanza preparato, nonostante rimanga fondamentalmente pessimista.

Ma questo mi aiuta a restare sano, dopotutto.

Ci vedo anche i lati positivi. Da quando, ormai due anni fa, è nata mia figlia, me la sono davvero goduta. Non è andata al nido, né abbiamo avuto baby sitter: io e mia moglie abbiamo fatto parecchi salti mortali per starle davvero dietro e seguirla. L’effetto lo notiamo in modo evidente: tra un mese compirà due anni, ed è una bimba emotivamente matura, che parla moltissimo per la sua età, e ci riempie di gioia e orgoglio.

Perché a questa cosa del non dover cercare un compromesso tra vita e lavoro ci crediamo davvero. Che poi è il vero smart working (non pandemic woeking, e neppure remote working): alla fine si tratta di progettare il proprio lavoro in modo che rispetti i propri tempi e spazi, e ci metta in condizione di trarre il massimo valore in tutti gli ambiti della nostra vita.

Insomma, il piatto piange, ma noi no.

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