Anche io ho una parte intollerante
C’è una parola, in particolar modo, su cui vorrei ragionare oggi, ed è tolleranza.
Tolleranza è una parola di cui ci si riempie la bocca. Si dice che si deve essere tolleranti verso il diverso, verso gli errori degli altri, o anche verso i propri. La verità è che questa parola a me non piace, non mi piace per nulla, soprattutto quando viene usata nei confronti di una persona.
Perché la parola Tolleranza, nella sua radice etimologica ha a che fare con la sopportazione di un peso, di qualcosa di sgradevole. Ed ecco, questa cosa per me ha poco senso per due motivi. Il primo è collegato con le ragioni per cui si definisce una persona un peso. Spesso, infatti, si parla dell’importanza (?!?) di tollerare chi ha una diversa nazionalità, religione, sessualità. Insomma, è come se si considerasse una persona sgradevole per il solo fatto che esiste, ed è nata o è stata educata in un certo modo.. Il secondo è che se proprio sono infastidito da qualcosa o qualcuno, tendo a fare qualcosa per risolvere la situazione.
Questa, almeno è l’idea. E se non riesco davvero a tollerare (o non tollerare) una persona per il solo fatto di essere nata in un determinato paese del mondo, questo non significa che non ci siano cose che mi si infilano sotto la pelle, e fanno uscire fuori tutta la mia intolleranza, e la mia chiusura. Si tratta, in effetti, di tutti quei comportamenti che il buon Carlo Cipolla definirebbe stupidi.
Per chi non lo conoscesse, il professore in questione ha scritto un breve e interessantissimo saggio che va a definire il concetto di stupidità, Dice, in buona sostanza, che un comportamento può sia aiutare che danneggiare, e può farlo con se stessi e con gli altri. Possiamo, quindi, costruire un diagramma cartesiano usando questi due assi, in modo da ottenere quattro quadranti:
- gli intelligenti sono coloro che con il loro comportamento creano vantaggi sia per se stessi che per gli altri
- gli sfortunati, o disgraziati, sono coloro che aiutando gli altri danneggiano se stessi
- i banditi, viceversa, sono coloro che creano valore per loro stessi, danneggiando gli altri
- gli stupidi, infine, sono coloro che con il loro comportamento danneggiano sia loro stessi che gli altri
Ok, riformulo. L’unico contesto in cui mi sento usare la parola tolleranza è quello della stupidità. E mi accontento di questa parola se si tratta di stupidità accidentale. Tutti, alla fine, possiamo commettere degli errori, anche io l’ho fatto e lo faccio, ci mancherebbe. L’upgrade all’intolleranza lo faccio quando la stupidità è deliberata.
Chi va in bicicletta di fianco alla pista ciclabile mi rende intollerante.
Chi fa coda nel traffico facendo manovre azzardate, salvo restare comunque incastrato come tutti, mi rende intollerante.
Chi passa il tempo a lamentarsi delle sue disgrazie mi rende intollerante.
Il punto è che se con le persone che si comportano in modo intelligente è facile avere a che fare, e disgraziati e banditi si possono gestire con le giuste armi, davanti agli stupidi siamo totalmente inermi. D’altra parte, una famosa e purtroppo anonima massima ci ricorda che discutere con certe persone è come giocare a scacchi con un piccione. Puoi essere anche il campione del mondo ma il piccione farà cadere tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera e poi se ne andrà camminando impettito come se avesse vinto lui.
Sono loro, gli stupidi, quelli che fanno uscire la mia intolleranza vera. Quelli che quando li incontro posso solo arrabbiarmi, perché non so cos’altro fare, se non insultarli. E quindi, se sei uno stupido, ti ringrazio, perché fai uscire una parte di me che altrimenti non avrebbe ragione di esistere.
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